

(tratto dal libro di Alfredo Cattabiani "Florario - miti, leggende e simboli di fiori e piante". E' un libro da acquistare leggere consultare ! )
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-INTRODUZIONE
-L'ALBERO DELLA CONOSCENZA SALVIFICA
-LA MELA DI AFRODITE
-LA MELA DI EVA
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INTRODUZIONE
Nella nostra lingua il nome del melo è la traduzione del latino malum che deriva a sua volta dal dorico malon.
In francese si dice pomme, dal latino pomum, che designava qualunque tipo di frutto a nocciolo o a semi.
I termini inglese e tedesco, rispettivamente apple e apfel, derivano invece dalla radice indoeuropea abel-, come aval, la mela in bretone e gallese, donde il nome di Avallon, la mitica «isola delle mele», chiamata Insula pomorum da Goffredo di Monmouth nelle Profezie di Merlino.
In quell'isola, ove riposavano i sovrani ed eroi defunti, si era rifugiato re Artù aspettando il momento in cui avrebbe potuto liberare dagli stranieri i compatrioti gallesi e bretoni; e là, sotto un melo, insegnava Mago Merlino.
Quest'albero appare anche nella leggendaria storia di Alessandro Magno: cercando in India l'«Acqua della Vita», il condottiero scoprì delle mele che prolungavano fino a quattrocento anni la vita dei sacerdoti.
A sua volta nella mitologia germanica la dea Idun possedeva mele meravigliose che avevano la facoltà di impedire l'invecchiamento.
D'altronde si sa che «Una mela al giorno toglie il medico di torno»: proverbio che ne rispecchia fedelmente le virtù medicinali perché essa contiene, oltre all'85 per cento di acqua, il 13 per cento di zuccheri, acidi organici, pectina, tannino, vitamine A, B1, B2, PP, C ed E., è rinfrescante per la grande quantità di succo acidulo che fornisce; stimola le ghiandole digestive, protegge la mucosa gastrica e favorisce l'assimilazione del calcio.
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L'ALBERO DELLA CONOSCENZA SALVIFICA
Il melo è l'Albero simbolico della Conoscenza salvifica che conduce all'immortalità.
Un mito greco narra che Eracle aveva compiuto le dieci fatiche imposte da Euristeo.
Ma Euristeo, che non riteneva valide la seconda e la quinta fatica, gliene impose altre due.
L'undecima consisteva nel cogliere i frutti d'oro di un melo, dono di nozze della Madre Terra a Era, che lo aveva piantato nel suo giardino sulle pendici del monte Atlante. Era ne aveva affidato la custodia ad Atlante prima che questi fosse condannato a reggere il globo celeste sulle spalle.
Temi lo mise in guardia dicendogli: «Il tuo albero sarà spogliato dalle mele d'oro da un figlio di Zeus».
Preoccupato, Atlante costruì solide mura attorno all'orto cacciando tutti gli stranieri dalla sua terra e affidando il sacro albero alle figlie, le Esperidi.
Ma un giorno Era, accorgendosi che alcune fanciulle stavano cogliendone le mele, ordinò al drago Ladone di avvolgersi intorno al tronco e montare attenta guardia.
Quando Eracle ricevette l'ordine di impadronirsi dei pomi d'oro non sapeva dove fosse situato il misterioso giardino.
S'incamminò attraverso l'Illiria fino a raggiungere il fiume Eridano, patria del profetico Nereo.
Giunto al fiume, le ninfe di quelle acque lo condussero dal dio che stava dormendo.
Eracle lo agguantò costringendolo a rivelargli il luogo dove si trovavano le mele d'oro e soprattutto il modo per impossessarsene.
Nereo gli consigliò di non coglierle con le proprie mani ma di servirsi di Atlante, alleggerendolo nel frattempo dell'enorme peso che gravava sulle sue spalle.
Arrivato nel giardino delle Esperidi, Eracle chiese questo favore al Titano, che era disposto a qualunque cosa per avere almeno un'ora di sollievo, ma aveva paura del drago Ladone, sicché pose come condizione di ucciderlo.
L'eroe accondiscese alla richiesta scoccando una freccia al di sopra del muro del giardino che colpì mortalmente il terribile guardiano; poi chinò le spalle per sostituire Atlante nel compito di reggere il globo celeste.
Il Titano tornò poco dopo con le tre mele raccolte dalle figlie, ma non aveva nessuna intenzione di riprendere il suo ingrato posto.
«Porterò io stesso le mele a Euristeo» disse «se tu reggerai il cielo sulle tue spalle per due o tre mesi ancora.»
Eracle finse di accettare; ma seguendo il consiglio di Nereo, che lo aveva avvertito di rifiutare la proposta, pregò Atlante di sostenere il globo per pochi minuti ancora: il tempo di fasciarsi il capo.
Il Titano, tratto in inganno, posò a terra le mele riprendendo il suo carico; sicché l'eroe potè raccogliere i frutti allontanandosi con un saluto di scherno.
Il mito è in realtà l'allegoria di un cammino iniziatico dove colui che tende alla comunione divina deve superare una o più prove per poter ricevere, dalla divinità o dai suoi ministri, le mele d'oro della Conoscenza salvifica.
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LA MELA DI AFRODITE
Durante le nozze fra Peleo e Teti, Eris, ovvero la Discordia, gettò una mela d'oro con la scritta «Alla più bella».
Sorse una disputa fra Era, Atena e Afrodite che Zeus si rifiutò di appianare delegando a questo compito Ermes, il quale guidò le tre dee sul
monte Ida dove Paride, figlio di Priamo, avrebbe fatto da arbitro.
Il giovane stava pascolando la sua mandria sul monte Gargaro, la vetta più alta dell'Ida, quando Ermes gli apparve insieme con le tre dee e gli consegnò la mela d'oro: «Paride,» gli disse «poiché sei un giovane tanto bello quanto esperto negli affari di cuore, Zeus ti ordina di scegliere la più bella fra le dee».
Il pastore, sconcertato, prese la mela fra le mani: «Come può un semplice mandriano come me diventare arbitro della divina bellezza?» obiettava.
«Sarò costretto a dividere la mela fra le tre dee.»
«Non puoi disobbedire agli ordini dell'onnipotente Zeus» lo ammonì Ermes.
«D'altronde io non posso offrirti il mio consiglio. Fa' buon uso della tua intelligenza.»
«Non mi resta che obbedire» sospirò Paride.
«Ma prima vorrei pregare le future perdenti di non serbarmi rancore. Sono soltanto un misero mortale, facile a commettere stupidi errori».
Le tre dee promisero di accettare di buon grado le sue decisioni.
«Devo giudicarle così come sono, oppure nude?» domandò il giovane imbarazzato.
«Sei tu a stabilire le regole della competizione» rispose Ermes con un sorriso malizioso.
«E allora vi prego gentilmente di spogliarvi.»
Il dio invitò le dee a obbedire volgendo loro la schiena per discrezione.
Afrodite fu la prima a denudarsi, ma Atena pretese giustamente che si sfilasse anche la cintura magica grazie alla quale poteva far innamorare tutti coloro che le si avvicinavano.
«Va bene, me la toglierò» accettò la dea «ma a patto che tu ti levi l'elmo con il quale sei orribile».
«Ora» disse Paride «voglio esaminarvi a una a una per non essere distratto dalle discussioni. Comincerei con Era.»
«Esaminami attentamente» lo supplicò lei «e ricordati che se mi giudicherai la più bella, ti renderò padrone di tutta l'Asia e farò di te il più ricco degli uomini.»
«Io non mi lascio comprare... Vi ho esaminato a sufficienza. Venga ora avanti Atena.»
La dea gli promise di renderlo il più bello e più saggio fra gli uomini, e il vincitore di tutte le battaglie.
«Sono un umilissimo pastore, non un guerriero» le rispose Paride.
Poi fu la volta di Afrodite che gli si avvicinò a tal punto da farlo arrossire per l'emozione: «Osserva bene, Paride, perché non ti sfugga nemmeno un particolare.
Appena ti ho visto mi sono detta: "Questo è il più bel giovane dell'intera Frigia! come mai si è costretto su una montagna a governare una mandria?".
Perché non te ne vai in città per vivere una vita civile?
A sposare per esempio Elena di Sparta che è bella e ardente quanto me?
Sono certa che se lei ti vedesse sarebbe pronta ad abbandonare la sua casa e la sua famiglia.
Avrai sentito parlare di Elena».
«Mai fino a oggi» rispose Paride, come ipnotizzato.
«Potete descriverla?»
«E bionda e di carnagione delicata essendo nata da un uovo di cigno. Può vantarsi di avere Zeus come padre poiché egli l'ha generata insieme can Leda nelle sembianze di un cigno. Ora è moglie di Menelao, fratello del re Agamennone; ma non è un grave problema. Se la vorrai sarà tua.»
«Com'è possibile se è sposata?»
«Quanto sei ingenuo! Non sai che è in mio potere risolvere simili questioni? Devi soltanto recarti in Grecia guidato da mio figlio Eros. Non appena avrai raggiunto Sparta egli farà in modo che Elena s'innamori di te.»
«Potete giurarmelo?».
Afrodite lo giurò solennemente e Paride le donò la mela d'oro.
Ma si attirò /odio irrefrenabile di Era e Atena, che si allontanarono tramando la vendetta: la futura distruzione di Troia.
L'anonimo autore di questo mito fu in realtà tratto in inganno da una raffigurazione in cui si vedeva Eracle che non dava ma riceveva
il ramo di melo dalle Esperidi, ovvero dall'ignuda triade delle dee ninfe.
Nella nuova cultura patriarcale l'antico mito subiva quest'ultima deformazione.
In ogni modo l'episodio contribuì a trasformare la curvilinea mela in un attributo di Afrodite, nel simbolo della Bellezza femminile e anche del Desiderio carnale, tant'è vero che Vincenzo Cartari nelle "imagini delli dei de gl'antichi" descriveva così l'immagine della dea:
«Carro di Venere tirato da cigni e da colombe a lei sacrate, la sua immagine sopra detto carro nuda con le tre Gratie seco, come li Sassoni la dipingeranno, con tre pomi d'oro in una mano e una palla nell'altra, dimostre l'oro farci via alla lascivia, dimostra il tutto il naturai
desiderio carnale per generare».
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LA MELA DI EVA
Un'ulteriore mutazione simbolica si verificò nel Medioevo cristiano quando l'Albero della conoscenza venne spesso raffigurato con un melo e il frutto del peccato originale con la mela.
In realtà il racconto della Genesi non descrive quest'albero.
La scelta iconografica del melo come Albero della conoscenza nell'arte cristiana medievale e poi moderna sembra ispirarsi all'antica iconografia egea: quella, come si ricorderà, che mostrava la dea circondata dal Serpente e dal figlio Stella.
Ma qui le parti sono cambiate: la dea è diventata compagna del Figlio e il Serpente ha assunto il ruolo di Tentatore, mentre compare la figura patriarcale di Iahveh.
Tuttavia, di là dalla mela, la fonte primaria del mito della Genesi non è egea ma mediorientale: un antico mito persiano racconta che Meshia e Meshiane erano vissuti di sola frutta fino a quando il demone Ahriman li ebbe persuasi a rinnegare il Signore.
Così persero la loro purezza, tagliarono gli alberi, uccisero gli animali e commisero altri peccati.
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